Un corallaro eccezionale: Tony Reccotratto dal libro "Qui Calypso" di Albert Falco Il comandante Cousteau voleva girare un film nel Mediterraneo, sul corallo e sui pescatori di corallo. Dal 2 al 10 Luglio 1971, assieme a Jacques Renoir, Albert Falco fece un viaggio di ricognizione in Corsica, in Sardegna e in Grecia. Alla fine fu scelta la Corsica, in particolare le Bocche di Bonifaccio. Si era giunti a questa decisione per via delle immersioni che effettuava nella zona un pescatore di coralli eccezionale, un campione spaventosamente temerario, un certo Tony Recco, originario di Propriano, il quale restava ogni giorno tra i 10, 15 e 20 minuti a 100 metri di profondità con bombole di aria compressa e senza osservare con precisione le soste necessarie alla risalita. Per filmare i pescatori di corallo a grande profondità fu deciso che i sommozzatori avrebbero utilizzato la torretta Galeazzi che sarebbe stata immersa a 40 metri. In funzione delle tabelle stabilite per la miscela elio-ossigeno la loro permanenza sul fondo non doveva superare i 10 minuti. La "Calypso" era ormeggiata con quattro grosse ancore nelle Bocche di Bonifaccio, proprio a piombo sopra lo scoglio corallino che era stato rintracciato con il disco. Conclusa l’immersione, gli operatori cinematografici penetravano nella torretta, chiudevano la porta e avvertivano per telefono la "Calypso" che issava la torretta e la sistemava nella stiva. I sommozzatori allora venivano decompressi al caldo e nelle condizioni migliori all’interno della torretta, dove la miscela respiratoria era accuratamente dosata. La difficoltà consisteva nel calare in mare ogni giorno questa torretta. Quando il tempo era bello la manovra non dava preoccupazioni, ma se il mare era mosso l’operazione diventava molto delicata. Il brutto tempo impediva all’équipe di seguire e filmare Recco che si tuffava invece con qualsiasi mare. Si serviva di uno zodiac da cui pendeva una grossa pietra attaccata a una corda di nailon. Sul fondo egli si muoveva in un raggio di 20 o 30 metri attorno a questa pietra, per pescare il corallo. Ma per ritrovare più facilmente la sua corda, a 4 o 5 metri sopra la pietra appendeva delle bandierine bianche che venivano agitate dalla corrente nell’oscurità del mare e che erano molto visibili. Ritrovare la via d’uscita e avere un punto di riferimento costituiva per lui un fattore vitale. Non usava elio perché si tratta di un gas molto caro e anche perché richiede più severe soste di decompressione. I sommozzatori in elio sono inoltre molto più sensibili al freddo: quelli della "Calypso" erano obbligati a indossare varie mute una sopra l’altra. Il fatto che Recco si calasse comunque fino a 100 metri e che alla risalita effettuasse le sue soste in alto mare invece di mettersi in una torretta di decompressione gli permetteva di immergersi qualunque fosse il tempo.
Falco decise allora che la squadra avrebbe fatto anch’essa le sue soste in acqua. Ma il problema consisteva nel respirare ossigeno sotto pressione durante queste soste. A farle nella torretta Galeazzi non c’erano difficoltà, ma in alto mare l’operazione diventava più rischiosa. Con il suo temperamento metodico, Falco preparò tutto un dispositivo che doveva offrire la sicurezza massima: venne immersa una scala graduata. A partire da 12 metri sotto la superficie, veniva indicata l’ubicazione di tre soste, e altrettanti erogatori a ossigeno erano stati appesi lungo una lenza. "Abbiamo fatto una prova" racconta Falco. "Naturalmente sono stato io il primo ad effettuarla e tutto è andato bene. Bisogna sforzarsi di essere rilassati e cercare di muoversi il meno possibile. Ma il nostro più grande nemico era il freddo. Per tre o quattro volte tutto si è svolto regolarmente, finché un giorno, forse a causa dell’affaticamento, Raymond Coll ha perso i sensi a 12 metri. Quel giorno purtroppo non mi ero immerso e stavo sulla passerella della "Calypso". I compagni che erano con lui per fortuna si sono accorti subito che era svenuto e lo hanno portato su. Aveva i denti serrati e un po’ di schiuma alle labbra. Gli ho levato immediatamente la muta e, aiutato dal medico, l’ho messo nella torretta Galeazzi. Dieci minuti dopo, appena Coll era stato messo sotto pressione nella torretta, mi avvisano che un secondo sommozzatore, Christian Bonnici, era anch’egli svenuto: si è dovuto decomprimere in fretta il cilindro e metterci Christian. Fortunatamente la pressione era appena di 300 grammi: 3 metri di profondità". Si gira "Se un giorno non trovassi più la mia corda in fondo all’acqua non potrei più risalire "ci diceva. "Le mie gambe non sono che un peso morto". Se i sommozzatori della "Calypso" avessero respirato aria compressa come Recco, non avrebbero potuto compiere tutte le manovre che le riprese esigevano. Respirando elio-ossigeno, si potevano permettere molto di più: spostarsi rapidamente sul fondale forzando sulle pinne, tirare cavi, spostare le luci. L’"aiutante" di Recco, il suo marinaio, come egli la chiamava, era una bellissima ragazza che in superficie vegliava su di lui, stando nello zodiac. Lei sapeva sempre dove fosse Recco, che cosa facesse. Lo guardava lavorare servendosi di un "cannocchiale da calafato", cioè di un semplice secchio dal fondo di vetro. Era certa che un giorno o l’altro lui ci avrebbe lasciato la pelle. Nelle Bocche di Bonifaccio muore un corallaio all’anno, per incidente. La ragazza si tuffava spesso per raggiungere Recco nelle soste. Si calava in immersione libera. Lui le passava il suo boccaglio e tutti e due aspiravano a turno uno sbuffo d’aria. Lei lo liberava dalla sua rete piena di corallo e dei suoi attrezzi. A volte lui le faceva un cenno per farle capire che voleva rivedere il più bel ramo di corallo che aveva colto. Nadine lo cercava e glielo mostrava. Qualche volta gli portava a vedere il ramo tornando giù dalla superficie. A che cosa pensava Recco guardandolo? Al denaro che rappresentava? Al fatto che stava giocando con la sua salute e la sua vita? Egli amava il corallo appassionatamente. Quando era a terra passava lunghe ore a contemplare i rami più belli che possedeva. Quando l’équipe della "Calypso" lo ha conosciuto (nel 1971), Recco non faceva più che un’immersione al giorno, ma in passato ne aveva sempre fatto due, tanto che era riuscito ad accumulare quasi una tonnellata e mezzo di corallo, che teneva ammassato in un capannone. L’anno prima ne aveva venduto per circa venti milioni, a 220 o 300 franchi il chilo. La sua più grande soddisfazione era di aprire la porta del capannone e dire: "Venite a vedere il mio corallo ". Recco non soltanto arrischiava scendendo molto in basso e trascurando tutte le tabelle di decompressione, ma commetteva anche una grave imprudenza, quella di gonfiare a 250 chili di pressione le bombole per disporre di un maggiore volume d’aria a grande profondità. Era una pazzia, anche perché così metteva in pericolo tutti quelli che venivano a trovarsi vicino al suo compressore. Per quest’imprudenza ha avuto anche un incidente: una bombola è esplosa, ma per fortuna nessuno è stato colpito. Questa è la storia di un pescatore di corallo dell’impossibile che ignorava le leggi fisiologiche e non sapeva cosa fosse la paura. Oggi è rimasto un film a testimoniare della sua folle, assurda audacia. Ma Recco è morto. Non vittima di un incidente di immersione, ma ucciso da un cognato in un oscuro dramma di famiglia. …Risparmiato dal mare è morto, povero Recco, per un colpo di fucile… |